Biografia

carlo marangio

Carlo Marangio frequenta l’Istituto d’Arte a Lecce prima di iscriversi al Magistero d’Arte a Firenze. Durante gli anni di studio il suo talento viene già riconosciuto, si aggiudica per due volte il primo premio a mostre di pittura ed è invitato a partecipare alla Terza Biennale dei giovani artisti a Roma. I suoi primi lavori, soprattutto vedute di città, paesaggi e nature morte, risentono dell’intimo legame con la sua regione natale, il Salento, con i suoi ambienti naturali, l’architettura barocca, la terra fertile ricca di vigne e uliveti, dominata dal sole e dal mare. La morte tragica del fratello maggiore in un incidente stradale, dà origine a una serie di oli, pastelli e disegni a matita raffiguranti gruppi familiari e individui afflitti da un dolore acuto e da una  profonda, inconsolabile tristezza. In molte di queste opere le braccia sono tese verso il cielo, come in un atto di supplica o di maledizione. La sua produzione pittorica di questo periodo comprende anche numerose crocifissioni nelle quali Cristo, con il viso contorto dal dolore e i lunghi arti quasi animaleschi, trasmette un senso di tormento fisico primordiale unito a una sofferenza spirituale. (Sandro Torrigiani, 1959)

Una volta diplomato, Marangio intraprende la carriera di pittore professionista e si trasferisce a Milano dove la sua originalità espressiva viene rapidamente riconosciuta. Nel 1960 la Galleria dei Re Magi dedica all’artista una personale. Franco Russoli, allora direttore della Pinacoteca di Brera, dopo aver visitato la mostra scrive una lettera al pittore, complimentandosi per il suo lavoro coerente e passionale e per la sua visione personale, cosa oggi assai rara. Marangio si interressa  sempre di più all’arte della copia dal vero (natura morta): esplora nuove possibili articolazioni spaziali, corrispondenze plastiche e il potenziale emozionale degli oggetti d’uso quotidiano, frutta e ortaggi..

Quando Marangio si reca a Parigi nel 1960, spinto dal desiderio di vedere la  Gioconda di Leonardo al Louvre, con 1000 lire in tasca  e una cartella piena di disegni, si sente sicuramente come il giovane uomo di una delle sue pitture, vulnerabile e sperduto, circondato dagli alti edifici. Tuttavia, vivrà  e lavorerà  in questa città per 46 anni. Nella capitale francese trova un fertile clima di libertà culturale e conosce nuove correnti artistiche che andranno ad consolidare l’indole evasiva del suo temperamento creativo. Luigi Carluccio ritrova, anche nelle prime opere dell’artista, un rifiuto spontaneo della realtà ottica, come nell’intento di cogliere la struttura interiore delle cose, il nucleo sentimentale. La natura, sebbene distaccata, sussiste comunque nel lavoro di Marangio, non soltanto come remota matrice di forme, ma anche come fonte vitale d’energia, che alimenta un dinamismo quasi meccanico.(Carluccio, 1971)

Frutta e ortaggi diventano sempre più irriconoscibili nei suoi Oggetti nello Spazio (questo il titolo che Marangio darà a tutte le sue opere a partire degli anni Sessanta). Le loro forme originali e naturali vengono scomposte e rimodellate secondo nuove rappresentazioni, sebbene l’invisibile presenza del tavolo sia ancora evidente. Il critico d’arte francese Jean Cathelin scrive della forza tranquilla di Marangio, del lento cambiamento della sua arte che si manifesta senza scatti e rotture. Infatti,  il percorso del suo lavoro è di sintesi e di fusione.
L’artista riunisce elementi divergenti come il senso del movimento della scuola futurista italiana, l’immobilità ereditata dalle ricerche metafisiche di Giorgio Morandi e la ricerca plastica di Alberto Magnelli. Gli oggetti sono scelti e sgravati da ogni peso aneddotico o significato, depurati da ogni riferimento letterario, per diventare elementi pittorici in un ordine ricreato, concepito per soddisfare insieme occhi e spirito, anima e cuore. (Cathelin, 1971) [vedi lettera]

Molte delle composizioni di Marangio realizzate a partire dagli anni Settanta, consistono in superfici monocrome dallo spessore vellutato di oli applicati con tratti sicuri. Le configurazioni di un disegno audace e di una scala di colori limitata sono raggruppati nella parte inferiore della tela. Si ritrova in questi dipinti un’attenzione molto particolare all’estetica pittorica che è una delle caratteristiche attribuite alla scuola di Parigi. Lentamente, tuttavia, le opere dell’artista  si riempiono ancora una volta di strutture barocche di grande complessità e i colori raggiungono nuova ricchezza, chiarezza e vitalità. Le opere di Marangio si caratterizzano per una prevalenza della gamma calda degli ocri, marroni, rossi e gialli o per la varietà dei colori con una forte dominanza dei toni del blu. Queste scelte cromatiche sono forse l’eco del Salento, la terra fertile dominata dal sole e dal mare.

Roberto Sanesi ha commentato l’evidente cambiamento di direzione della pittura di Marangio, osservando una progressiva riduzione degli aspetti più sensuali (e pittorico-plastici) in favore di una formula maggiormente  espressiva e di uno stile basato sulla chiarezza del tratto. Sanesi afferma anche  che queste composizioni, con  la loro costante distruzione e ricostruzione, insieme turbinose e fermissime, con la loro struttura vagamente concentrica, rivendicano, di volta in volta, una sorta di recupero cubista dello spazio. (Sanesi, 1984) [vedi lettera]


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